Care colleghe, cari colleghi,
abbiamo sollecitato direttamente le cariche accademiche competenti in merito alla questione della sottrazione dei pc (qui il nostro comunicato). Il Prof. Bellettini, Prorettore al personale, ci ha risposto che: “in generale si conferma la disponibilità da parte del CeSIA a mettere a disposizione, sulla base di una segnalazione dei responsabili di struttura, un certo numero di postazioni condivise”.
Suona strana la gerarchia richiamata nella risposta e questa generica disponibilità andrà verificata nella sua vera capacità di intercettare i bisogni e nella sua adeguata applicazione. Un pc ogni dieci persone, per esempio, oppure una “postazione” completa di pc situata in un ripostiglio non sarebbero in alcun modo accettabili. Ma vogliamo pensare in positivo e lavorare sulla pur generica disponibilità.
Le altre risposte del Prof. Bellettini sono state decisamente più deludenti. Ci ha ricordato che chi ha problemi “muscolo-scheletrici” potrà mantenere il pc anche in ufficio. Ci mancherebbe altro!
Ma la salute va tutelata con la prevenzione: costringere le persone a girare sempre con un peso sulla schiena, impedendo di fatto di recarsi al lavoro facendo tratti a piedi o in bicicletta (come consigliano tutti gli specialisti) è un problema per Unibo o no?
Riscontriamo inoltre una debolezza organizzativa, che andrà sciolta. Fino a poco tempo fa scrivendo alla Medicina del Lavoro la risposta automatica avvisava subito che “Per richieste di esonero dal trasporto di portatili […] la questione esula dalla pertinenza della medicina del lavoro”. Dunque, a chi rivolgersi?
L’altra risposta deludente riguarda la sicurezza informatica. Tra le altre cose, avevamo suggerito di approntare gli strumenti tecnici (software) per consentire un utilizzo sicuro dei propri dispositivi personali, per chi lo dovesse richiedere. Sul punto il Prorettore ripete la formula generica che ‘i pc personali non sono sicuri’. Certo. Ma noi ribadiamo che sarebbe opportuno esplorare la possibilità di renderli sicuri con accorgimenti tecnici, che siano indipendenti dal dispositivo in uso, visto che non sarà mai possibile controllare le migliaia di persone (docenti e tutor compresi) che utilizzano gli applicativi di Ateneo da tutto il mondo in modo che nessuno, mai, vi acceda da un pc senza la ‘blindatura CeSIA’.
Sul paventato aumento dei “costi dei contratti di assistenza” che ci sarebbe conservando i pc fissi ci sarebbe molto da riflettere. Se l’assistenza è fatta con risorse Unibo, allora dovrebbe essere solo una partita di giro; se invece è esternalizzata bisogna chiedersi se il bisogno di esternalizzarla non sia un frutto avvelenato proprio della “centralizzazione” delle dotazioni informatiche, che prima si avvalevano di competenze diffuse nelle strutture.
Lasciando da parte per il momento questo aspetto, c’è piuttosto un altro problema strettamente connesso a quello dei pc, ovvero lo svilimento del concetto di “postazione di lavoro” in presenza, al punto che ci sono uffici nei quali non c’è posto per tutti, e il telelavoro da misura conciliativa diviene obbligo logistico.
È chiaro che tutta la questione pc, postazioni, lavoro da remoto, va ripresa in mano in modo organico.