La sera di mercoledì 17 maggio InfoAteneo ci comunicava “la chiusura di tutte le strutture”, “per dare tutto il nostro sostegno alla riduzione della mobilità e favorire le operazioni di messa in sicurezza della rete stradale”.
Si comunicava inoltre che “tutto il personale tecnico e amministrativo è autorizzato a prestare la propria attività lavorativa da remoto”.
Questa formulazione, assieme alla previsione di un’” eccezione” rispetto alla telelavorabilità per “chi deve assicurare servizi valutati essenziali e non differibili da parte dei singoli responsabili di struttura”, ha generato non poca confusione.
- Si parlava di “autorizzazione” (e non di obbligo) al telelavoro; dunque alcune/i dipendenti hanno legittimamente inteso che per chiusura si intendesse la chiusura al pubblico, non che le sedi fossero chiuse al personale.
- Ancor meno ci si spiega come, sulla base di quella semplice “autorizzazione” si sia potuto “imporre” un contratto di telelavoro (anche se l’Ateneo non è nuovo a simili “giochi di parole”). Nei fatti la scelta è stata tra “contratto di lavoro da remoto” o l’utilizzo di ferie e/o permessi. Come abbiamo già spiegato c’era una terza possibilità: l’esonero (retribuito) dalla prestazione di lavoro.
- Non veniva detto se vi fossero edifici effettivamente inagibili o irraggiungibili per motivi legati alla tutela della salute e della sicurezza delle persone. Se per le sedi più colpite questo poteva essere implicito, così non era per Bologna e Imola. Si è voluto catalogare le attività (come “differibili” o “indifferibili”) quando invece in questo caso (ben diverso dal Covid) l’approccio da utilizzare, secondo noi, era unicamente quello della “fruibilità/raggiungibilità” delle strutture.
In un prossimo comunicato analizzeremo l’istituto delle ferie solidali e la scelta di ateneo di aprire all’utilizzo dello stesso.