Sono già iniziate le grandi manovre d’interpretazione di una legge scritta forse malissimo e soprattutto senza la previsione di tutele non derogabili.
La Legge 81/2017 probabilmente è la solita patacca di modernità figlia dei tanti ministri della Funzione Pubblica che si succedono nel tempo. E già fioriscono le diverse letture peggiorative dello Smart Working (es. diritto al buono pasto).
Chiariamo un fatto – l’emergenza sanitaria (tuttora in corso) ha evidenziato quanto, i tanto bistrattati impiegati pubblici, tengano al proprio ruolo istituzionale e nei confronti della collettività studentesca consentendo addirittura, all’Ateneo bolognese, di scalare le classifiche internazionali in pieno lockdown.
Il lavoro agile è stata una forzatura dovuta all’emergenza sanitaria a cui la Pubblica Amministrazione ha dovuto ricorrere, senza preavviso, a causa del caos provocato dal COVID. Migliaia di lavoratori hanno lavorato in condizioni di disagio, spesso con mezzi propri, a spese proprie in completa autonomia e soprattutto senza “guardiani” più o meno invasivi (es. richiami per pause giudicate troppo lunghe) dimostrando tutta la propria professionalità. Il lavoro agile emergenziale (LAE) si è connotato così come una sorta di fusione tra “vecchio” telelavoro (2015) domiciliare ed il più recente Smart Working (2017), il lavoro agile appunto, da svolgere per obiettivi senza necessariamente ricorrere ad un luogo fisico dato.
Ma l’Ateneo come intende, oggi, introdurre lo SMART WORKING considerato che legge e stanziamenti economici sono del 2017 e che pare abbia procurato tanti benefici all’amministrazione (ed anche ai lavoratori di sesso maschile, almeno secondo gli studi più recenti. Forse meno alle donne, in particolare alle madri, sempre secondo questi studi).
Lo Smart Working si attiverà con un contratto individuale sancito da una necessaria volontarietà di entrambe le parti in causa (dipendente e responsabile che organizza le attività). La prestazione sarà valutata in termini di risultati raggiunti (i famigerati obiettivi) e per ore lavorate. Non ci saranno così vincoli di orario ma certamente ce ne saranno in relazione al luogo in cui lavorare.
La durata massima sarà sempre di 36 ore, ma non ci sarà una durata minima (?!?).
Lo smart working sarà nuova modalità di organizzazione di lavoro. Considerati i problemi che l’ateneo ha avuto e continua ad avere a livello organizzativo c’è da esserne piuttosto preoccupati.
Il lavoro per obiettivi rischia così di tradursi in un boomerang per i lavoratori sottoposti i quali spesso lavorano a contatto con responsabili che ignorano le mansioni quotidiane loro affidate (micro organizzazione). Come si pensa di cambiare improvvisamente rotta soprattutto quando l’ORGANIZZAZIONE del LAVORO funziona solo ai vertici e nell’ambito della MACRO organizzazione dove molti Dirigenti conoscono alla perfezione SOLO i propri obiettivi di performance ma non sanno ciò che ciascuno di noi fa in ufficio ogni dì?
Ci dicono che è necessario un CAMBIO CULTURALE. Ma da parte di chi?
Chissà se finalmente ci sforzeremo di stilare un mansionario degno di questo nome, o ci forniremo di una pianta organica o addirittura renderemo ogni procedura più trasparente e lavorabile da chiunque arrivi in qualunque momento, cancellando anni di lavoro “ad improvvisazione” senza formazione e basato solo sulla buone volontà del singolo e dei colleghi che, da sempre, hanno rappresentato la prima e unica forma di condivisione dei saperi, trasmissione delle procedure e formazione neoassunti.
In sintesi, questo paventato cambio culturale è da intendersi solo in relazione al lavoro per obiettivi e non nel senso di miglior conciliazione VITA LAVORO? Non è che all’Ateneo, sotto, sotto interessa solo la declinazione aziendalistica: incremento della produttività e grado di erogazione dei servizi forniti magari mirando ad introdurre gli indicatori di Customer satisfaction anche alle strutture di secondo livello entro il 2021 ed entro il 2022 impegnarsi con il Nucleo di Valutazione per assegnare obiettivi anche ai responsabili gestionali di dipartimento, coordinatori di laboratorio, responsabili di secondo livello?
Prima ci hanno detto: “LAE non è lavorare da casa una volta a settimana” ma può essere un mix di presenza a lavoro e da remoto.
Poi ipotizzano il Lavoro AGILE DOMICILIARE (es. lavoratori che lavorano da casa e che tendenzialmente si recano in ufficio solo una volta alla settimana, non lavorano per obiettivi e non sottoscrivono un contratto diverso da quello che già hanno con l’Ateneo) che mantiene lo status del periodo COVID Fase 1 in cui eravamo Tutt* obbligati a stare in casa a parte servizi in presenza indifferibili.
Ci parlano con toni paternalistici di responsabilità ed autonomia sul lavoro (“non pensate, con lo Smart Working, di essere in ferie…”). Forse che il riflesso condizionato della loro cultura vetero-aziendalistica non si capaciti del buon risultato che l’autonomia dei lavoratori ha conseguito con l’esperimento LAE? O che proprio non concepiscano che la conciliazione dei tempi del lavoro e della vita di ogni singolo lavoratore porta vantaggi anche all’organizzazione?
O vogliono solo legare il discorso della flessibilità a quello della produttività?
Boh…per noi il modo migliore per aumentare la produttività di ciascuno sarebbe quella di far chiarezza, ad esempio, su: pianificazione delle singole attività; comunicazione tra responsabili e sottoposti; micro organizzazione e gestione uffici.
L’esperimento LAE ha evidenziato come un’organizzazione del lavoro ormai vecchia e sclerotizzata possa essere ampiamente superata con forme più snelle e “libere” di impegno lavorativo da parte di ogni singolo lavoratore. Quello che conta è sempre il lavoro svolto, in presenza o da remoto. Tutto questo avendo sempre ben chiaro che siamo un Ente Pubblico che eroga servizi pubblici che non produce e commercia beni e merci.
Detto questo invitiamo a diffidare dei “facili entusiasmi” di qualcuno. Per esperienza sappiamo che la fregatura è dietro l’angolo. Il lavoro da remoto nelle sue diverse forme sta prestando il fianco ai cattivi pensieri di chi è interessato alla totale destrutturazione del rapporto di lavoro subordinato (…smantellamento del Pubblico Impiego, do you know?): isolamento dei lavoratori, assenza di condivisione delle dinamiche lavorative, perdita di diritti e della consapevolezza dei propri doveri sono solo alcuni esempi disponibili in rete fra gli studi più recenti.
I concetti di autonomia del lavoro, di tempi dilatati, di reperibilità, di vaga responsabilità, di obiettivi non sono tipici del lavoro subordinato dove il lavoratore ricava un reddito prestando il suo tempo standardizzato per realizzare, nel nostro caso, servizi pubblici organizzati con i mezzi e gli spazi del datore di lavoro. Sono molto più simili a quelli del LAVORO AUTONOMO (co.co.co.) o dei lavoratori a partita IVA che comprano i mezzi di lavoro (come è già capitato per il LAE) e che devono consegnare il lavoro commissionato
Non prendete per oro colato l’operato di chi vi rappresenta, chiedete, documentatevi e tenete sotto controllo il lavoro dei vostri rappresentanti.
Il lavoro agile deve essere una reale occasione di miglioramento delle condizioni di lavoro, e non un altro imperdonabile AUTOGOAL.
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