Il 17 settembre 2020 il DG aveva convocato in mondo-visione tutto il personale TA per comunicare la lieta novella: l’Ateneo di Bologna, viste anche le ricadute positive sulla produttività da LAE, finalmente avrebbe consentito ad un’ampia platea dei propri dipendenti di avvalersi di alcune forme di lavoro flessibile attualmente disponibili.
Ricordiamo che ad oggi, anche grazie ad un pessimo Accordo sindacale del 2017, firmato dalla CGIL e CISL, in Ateneo solo 38 lavoratori, dopo lungo penare, sono riusciti ad ottenere una modesta flessibilità lavorativa ricorrendo al telelavoro.
Più di un mese fa l’Amministrazione ha convocato le parti sindacali per condividere alcuni accordi favorevoli ad una vera introduzione in Ateneo di forme flessibili di lavoro, che superassero l’ampio ritardo storico in materia emerso con la pandemia da COVID.
Ebbene, dopo un mese di riunioni, la montagna ha partorito il solito topolino.
Non riuscendo a progettare e realizzare una cosa che abbiamo già fatto (smart working di massa), Unibo cambia le carte in tavola e rispolvera l’istituto del telelavoro, che ormai è modalità di lavoro desueta.
L’Ateneo e le solite organizzazioni sindacali si sono infatti accordati su alcune modifiche all’Accordo sul telelavoro del 2017, puntualizzando ed estendendo le categorie di lavoratori beneficiari e ipotizzando in totale circa 500 postazioni di telelavoro da attivare nel corso del 2021.
Sono stati però individuati già circa 350 colleghi e colleghe che rientrerebbero nelle categorie prioritariamente beneficiarie, quindi i margini per estendere il telelavoro alla generalità dei dipendenti sono azzerati. Alla faccia della flessibilità per tutti! (sic).
Il bando però sarà aperto, dicono. Chi non ha i requisiti di assegnazione potrà comunque partecipare alla selezione, ma finirà in fondo alla graduatoria e non si sa se e non si sa quando potrà poi davvero accedere al telelavoro…
Quali saranno le tempistiche di implementazione del cambiamento organizzativo?
Nonostante esistano diverse leggi e circolari della Funzione Pubblica che incentivano l’introduzione dello Smart Working, in Unibo si parla esclusivamente di progressività, di sperimentazione…
Per CUB, Unibo viaggia volutamente con il freno a mano tirato.
Restano tutti i distinguo e le perplessità su come sarà attuato però, ormai, piaccia o non piaccia, lo Smart Working è un diritto per i lavoratori che ne facciano richiesta!
È ormai chiaro, infatti, il cambio prospettiva. Tutte le Amministrazioni hanno l’obbligo di consentire l’accesso allo Smart Working almeno al 50% del personale (su base volontaria) impiegato nelle attività non incompatibili con tale modalità di lavoro.
E questo significa che ogni PA, ove vi siano richieste di accesso dei lavoratori a tale modalità di lavoro, dovrà stringentemente motivare le ragioni del mancato raggiungimento della percentuale minima.
Ma come intende Unibo dare corso alla percentuale imposta dalla legge?
Il lavoro agile nelle PA deve essere attivato sulla base di un piano pluriennale (POLA – piano organizzativo lavoro agile). All’interno del piano dovranno essere individuate, in relazione alle singole unità organizzative, le attività non compatibili con la nuova forma di lavoro flessibile (c.d. mappatura delle attività).
Del piano organizzativo Unibo per ora in realtà NON SI SA NULLA.
Al momento non sappiamo nemmeno quante persone potranno effettivamente essere coinvolte dalla nuova forma di organizzazione del lavoro flessibile da remoto.
Secondo la nostra ipotesi, poiché nella fase dell’emergenza almeno 2000 dipendenti hanno costantemente lavorato da casa, per raggiungere l’obiettivo di performance organizzativa entro il 2021, la nuova modalità di lavoro dovrebbe poter intercettare le richieste di almeno 1000 lavoratori.
Per noi è evidente il tentativo in atto: si prende del tempo e così facendo si elude le norma che richiede lo Smart Working!
PERCHÉ? Perché lo Smart Working non mette sotto la lente di ingrandimento le esigenze dei singoli, mentre ampliando esclusivamente il telelavoro è possibile prevedere requisiti di assegnazione molto stringenti…
LO SCHEMA SI RIPETE STANCAMENTE: la legge prevede un diritto? Bene, nell’applicarlo, UNIBO lo rende talmente farraginoso e cervellotico da negarlo nei fatti.
Come CUB, abbiamo rinviato al mittente l’impianto complessivo. Si tratta di un approccio arretrato, insensato, per di più in deroga alla legge!
Perché i nuovi posti previsti per il telelavoro non possono certamente rientrare nell’ambito della percentuale prevista dalla legge per lo Smart Working. Semmai sono in più ed erodono ulteriormente la quota di lavoro in presenza.
La legge prevede accesso diffuso allo Smart Working, mentre Unibo tradendo le legittime aspettative dei lavoratori, crea esclusivamente un sistema di aggiudicazione di posti in telelavoro. Ma questi posti sono comunque pochi e intercetteranno solo alcune delle esigenze più forti.
L’istituto del telelavoro continua, inoltre, ad essere regolato nell’ambito della relazione gerarchica tra lavoratore e responsabile. Per partecipare al bando bisogna chiedere il progetto al capo? Perché non individuare il progetto una volta che si è risultati come vincitori?
Tutto assomiglia ad una grande giostra, in cui si perde tempo e lavoro di molti, per conseguire un risultato numerico che sarebbe “assorbito” dal puntare dritti e diretti alla soluzione principale…
Uno sterile tiki-taka, un diversivo, messo in campo per poco coraggio e poca capacità di progettazione, attento soltanto a mantenere sempre la prevalenza della catena di comando e, per alcuni aspetti, elementi di arbitrarietà.
Con queste premesse, chi parteciperà alla procedura di selezione con “speranza” è molto probabile che rimarrà deluso.
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