Care colleghe, cari colleghi,
a partire dal 2020 abbiamo tutte/i dimostrato che lavorare da casa equivale a lavorare in ufficio… anzi, talvolta da casa si fa pure di più.
Sulla base di questa premessa, nei vari tavoli di trattativa ci siamo battuti per aumentare le giornate effettivamente lavorabili da remoto e per consentire una maggiore cumulabilità delle stesse in periodi continuativi (vedi link). Invece, tramite i soliti accordi al massimo ribasso firmati dai soliti noti, anche le più recenti “concessioni” sono purtroppo state disattese, proprio come avevamo preannunciato (vedi link).
I sindacati firmatutto lo scorso anno si sono precipitati a firmare un accordo che non garantisce in alcun modo i colleghi/e di fronte all’eventuale ostilità al lavoro a distanza da parte delle/dei responsabili, che potrebbero di conseguenza negare tante quante giornate ritengono di negare, visto che il tutto è sempre da “concordare” con loro. Vogliamo anche ricordare che, nonostante la nostra insistita richiesta, a turno l’uno o l’altro sindacato firmatario hanno boicottato la convocazione dell’RSU per discutere del tema telelavoro, assemblea dalla quale saremmo potuti uscire con una posizione condivisa su punti delicati come questo.
Così ora succede che, talvolta, chi ha astrattamente diritto ad almeno 3 gg a settimana come media, si trova a poterne fruire di regola solo 2 al massimo, e si trova costretto a dover chiedere sia concesso (e non sempre lo è) quello “aggiuntivo” sulla base di una specifica motivazione. Che poi è sempre la stessa che sta alla base del contratto: bimbi piccoli, pendolarismo con più di 30 km, ecc.
Chiameremo questo caso “lavoro da remoto diminuito”.
In un Ateneo in cui spesso si adottano strade contorte, sempre più in salita, ci siamo adesso trovati a dover denunciare che la fruizione delle giornate da remoto non viene decisa sulla base delle esigenze conciliative di colleghe/i. Quando, addirittura, proprio a tutela delle esigenze conciliative nessuna norma impone obblighi al lavoratore, che è invece libero di scegliere di giorno in giorno se lavorare da casa oppure in ufficio (salvo il caso di mansioni indifferibili da svolgersi necessariamente in ufficio, molto raro nella maggior parte dei contesti di lavoro).
Sappiamo che viene imposta una programmazione, ma in alcuni casi tale programmazione non è per nulla rivedibile dai singoli dipendenti perché la scelta dei giorni di lavoro da svolgere da remoto si deve adattare all’esistenza o meno di scrivanie libere. È davvero possibile che non ci venga nemmeno più riconosciuta una scrivania con un PC? (sul tema leggi il comunicato a questo link)
A quanto pare questa problematica è destinata a coinvolgere sempre più tutte e tutti, dato che ci raccontano dell’esistenza di una direttiva non scritta secondo la quale le postazioni di lavoro devono essere previste solo per il 70% dei dipendenti così da risparmiare spazi. Questi obblighi meramente logistici, che nulla hanno a che fare con le mansioni svolte, danno luogo a una contraddizione tanto forte da negare la stessa ragion d’essere dei contratti sottoscritti dalle/i colleghe/i; chiameremo il caso “lavoro da remoto imposto”.
I due casi (quello del diminuito e dell’imposto) sono facce della stessa medaglia: testimoniano che non possiamo decidere noi e in sostanza ci raccontano che il lavoro da remoto va bene solo se va bene al datore di lavoro, che ha trovato nuovi modi per guadagnare risparmiando proprio come è stato nel caso – che potremmo definire emblematico – dei buoni pasto.
Per cambiare tutto questo
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del 14, 15 e 16 aprile 2025
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