Infine, anche il nostro Ateneo si allinea. Così, il 18 gennaio scorso, urbi et orbi, la nuova Direttrice generale, via piattaforma Teams, ha presentato la nuova/vecchia idea di Governance, conducendo tutti i colleghi TA nel “magico” mondo delle valutazioni.
E lo ha fatto, circondata dai suoi ascari dirigenziali, con una lunga estenuante verbosa spiegazione di come tutto ciò è stato pensato e strutturato e di come verrà tradotto nella pratica. Insomma, il dado è (sta per essere) tratto.
Da circa un ventennio, seguendo le perverse logiche direzionate verso un modello privatistico del sistema pubblico, si è assistito al dibattito, sempre più incalzante, sulla necessità di valutazione del personale TA. E in questo nuovo corso, anche il nostro Ateneo ha voluto fare la sua parte, avvicinandosi pian piano alla logica valutativa “imposta” a livello normativo (perché lor signori si “adeguano” sempre ai dettati superiori, naturalmente interpretandoli sempre nella forma ai loro disegni più conveniente), adducendo anche una presunta utilità per la comprensione del nostro “clima” organizzativo, per ponderarlo, standardizzarlo, riorganizzarlo e via dicendo. Naturalmente, non sentendo gli umori e le proposte di chi ogni giorno lavora, ma solo finalizzata a una logica tutta aziendale.
CUB ritiene che con questa strutturazione del sistema valutativo si voglia, ancora più, arrivare a profilare le università come delle aziende, in cui tutto è controllato con un sistema piramidale di “controllori”, generando un sistema premiale e competitivo fra colleghi, con l’obiettivo recondito, ma alla fine funzionale al sistema che si vuole creare, di scollare la solidarietà e la coesione dei lavoratori, indebolire le lotte sindacali e far lavorare tutte e tutti ancora di più.
Ancora una volta, la cosiddetta “Brunetta” del 2009, la madre di tutte le ossessioni, si trasfigura come lo specchio delle nuove filosofie globali di gestione della cosa pubblica, complice l’inaspettata pandemia mondiale (per lor signori, si potrebbe dire, la “tempesta perfetta”) che ha portato ad amplificare le politiche di attacco al mondo del lavoro in nome dell’emergenza.
L’introduzione delle valutazioni nella vita delle pubbliche amministrazioni si staglia come perfetto strumento aziendale di questi nuovi padroni (le sottolineature sono d’obbligo) per creare un sistema che irreggimenta la classe lavoratrice e dà mano libera a forme di controllo e gestioni privatistiche degli enti pubblici. Tutto questo supportato anche dalle organizzazioni dei lavoratori storiche e maggiormente rappresentative, che negli ultimi 30 anni hanno fatto da sponda sindacale alla politica dei vari governi, emergenziali e non solo.
Infine, anche il nostro Ateneo opta per questo modello, grazie anche al placet silenzioso dei soliti confederali. La scelta fatta è chiara e chiarisce, anche, quello che sarà il “modello Molari” nel futuro della vita in Unibo e nelle relazioni sindacali. Anche se, come ogni scelta, si possono avere sempre strade diverse, e questa era assolutamente evitabile, perché questo modello aveva negli anni già mostrato i suoi limiti: oggi non sarebbe più così obbligatorio.
Di più, in Unibo viene proposto un sistema di valutazione non basato su criteri e metodi oggettivi (già questo sarebbe troppo bello!); bensì si finisce con il misurare i comportamenti individuali del lavoratore (magari quello più ligio, quello più litigioso, quello sindacalizzato, quello “protetto”, quello aderente, quello dissenziente e via dicendo). Che vale a dire dare la patente ai vari capi di giudicare il percorso lavorativo dei loro cosiddetti “sottoposti”, basato magari su opinioni prettamente individuali e personali, sulle aspettative, se non, come detto, condizionati magari da antipatie o simpatie o altro.
Insomma, i vari responsabili dei vari livelli (alcuni, non tutti, ovvio!), fidelizzati dall’Azienda con il “premio” dell’indennità e la “soddisfazione” di un piccolo ruolo di potere, per garantire la loro rendita di posizione, valuteranno i loro colleghi, magari senza averne mezzi e capacità, in un contesto lavorativo sempre più caotico, aggravato dalle varie ristrutturazioni di questo ultimo decennio (riforma Gelmini e ben due modifiche statutarie), che hanno stravolto gli assetti organizzativi.
Si naviga a vele spiegate verso un sistema sempre più aziendale, rigido e controllato, confidando (lor signori confidano) che un tale schema contribuirà a creare un clima competitivo e di odiosa rivalità fra colleghi, pesante e faticoso, ma proprio per questo capace di maggior controllo e di abbassare la tenacia oppositiva del personale TA.
CUB si è sempre opposta al sistema delle valutazioni e continuerà a farlo.
CUB pensa che il personale TA non sia un bambino cui dare una pagellina (per quelle abbiamo già dato!), e da quella far discendere il premio o il rimprovero.
Inutile, oltre che ingiusto! La dimostrazione più grande di ciò è stata la resilienza del personale TA dimostrata in questi due terribili anni di pandemia, lavoro a distanza, ansie e paure collettive e personali: le lavoratrici e i lavoratori dell’Ateneo di Bologna hanno lavorato a testa bassa, di più e magari meglio, tenendo la barra di quella che è la vera missione di un centro di studi e cultura.
CUB ritiene estremamente pericolosa questa china, dalla quale discenderanno varie conseguenze, con riguardo ai possibili aumenti, alle progressioni e quant’altro (già è in atto).
CUB è convinta che il personale TA lo si supporta nei fatti quotidiani a piena fiducia operativa, magari lasciandogli la possibilità di lavorare in collettivo, dal basso; in fondo, sono gli “operai” che più dei “padroni” sanno come funzionano le “catene di montaggio”.