Ringraziamo il DG per il riconoscimento del nostro “impegno” e della nostra “dedizione”.  I “traguardi raggiunti “ci fanno piacere, però preferiremmo riferirli all’avanzamento della ricerca e alla diffusione della conoscenza, piuttosto che ai “successi dell’Università di Bologna”. Parlare di “successi” dà l’idea che altrove ci siano delle sconfitte, e la cosa non ci piace, visto che riteniamo tutto questo un servizio pubblico, che sia fatto a Bologna o in qualsiasi altro ateneo.

Per quando riguarda la borraccia, ci limitiamo a segnalare alcune cose.

1) la trasformazione in gadget di oggetti pensati per il loro basso impatto ambientale è un controsenso. La prassi di marchiare coi loghi le borracce (o i bicchieri di plastica riutilizzabili, etc) stimola il collezionismo e l’accumulazione. Per le aziende è marketing, ma un ente che potrebbe essere all’avanguardia su questi temi forse potrebbe evitarlo.

2) Siamo tutti/e abbastanza pieni di borracce, e altre ne arriveranno certamente a Natale. Come detto al punto 1, produrre troppe cose “compatibili ambientalmente” è il contrario della compatibilità ambientale…

3) Raggiungere “uno stile di vita sempre più consapevole e improntato alla sostenibilità” come ci invita a fare Unibo con la borraccetta è certamente una bella cosa. È però un dato di fatto – ed è esperienza quotidiana di tutti e tutte – che per averlo c’è però bisogno di più tempo per sé stessi. Cosa fa Unibo per i suoi dipendenti che hanno bisogno di più tempo? Un atteggiamento ostile verso le richieste di part time, la punitiva non cumulabilità di diversi tipi di permessi nel corso della stessa giornata, il problema annoso delle visite mediche da recuperare… Risolviamo con una borraccia? E che dire per i colleghi e le colleghe esternalizzati, che spesso hanno orari infinitamente più pesanti? Che dire della loro quotidiana esistenza, assai poco umanamente sostenibile?

4) Se l’ambiente ha a che fare anche con la nostra salute, come conciliare tanta preoccupazione per l’ambiente con la spinta decisa e caparbia di Unibo verso il welfare aziendale e privato (vedi accordo con Unipol)? Il welfare aziendale è la peggiore minaccia alla tenuta del Servizio Sanitario Nazionale. Anche la nostra salute è “ambiente”, e solo un servizio sanitario universale e pubblico ci può aiutare a mantenerla.

5) Comunque sia, che ognuno/a abbia la sua borraccetta è certamente una bella cosa. Ma mentre si diffondono le borracce tra i cittadini “inseriti” e con un reddito (anche se non certo eccezionale, come accade a noi), i marginali e i poveri non trovano più neppure una fontana dove bere e rinfrescarsi. Persino l’accesso all’acqua – oltretutto privatizzata, nonostante un referendum esigesse il contrario – è differenziato per classe d’appartenenza. C’è un’orribile iniziativa dell’Università di Pavia che dice esattamente cosa NON fare: erogatori che funzionano con il badge, ovvero acqua escludente ed esclusiva. Unibo invece potrebbe essere esempio virtuoso (ai comuni, alle ferrovie…) aprendo nei suoi stabili fontanelle per tutti gli assetati, senza badge e senza ricatti e distinzioni. Non sarebbe, questa, una vera e coraggiosa terza missione?

Per chi volesse approfondire il tema alleghiamo al presente messaggio un articolo apparso sulla rivista Jacobin.

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