Nel corso dei lavori del tavolo tecnico sui sussidi al personale l’Amministrazione ha presentato una “ipotetica” polizza sanitaria integrativa, quindi, un’ipotesi di capitolato riportante prestazioni erogate, massimali, franchigie… applicate da assicurazioni. Questa ipotesi manifesta la volontà di un ente pubblico, quale il nostro datore di lavoro, di partecipare attivamente alla privatizzazione del sistema sanitario incentivando il ricorso a prestazioni a pagamento e destinandovi denaro pubblico.
Il processo, iniziato da anni, sta prendendo piede (presso gli Enti Locali, le Regioni…). A esso hanno contribuito attivamente e spesso entusiasticamente i sindacati confederali, ed è, quindi, anche alla loro azione che i cittadini devono la mancata copertura pubblica di talune prestazioni sanitarie. Nei vari comparti, tra cui il nostro, questi sindacati hanno spinto per definire un accordo (2016), nel quale è stato formalizzato l’impegno ad aderire alle polizze sanitarie. Una gran fretta ad attivare polizze sanitarie private che non si replica, chissà perché, nella richiesta del riconoscimento degli aumenti contrattuali.
Quella dipinta dall’Amministrazione è una situazione idilliaca, quasi fosse tutto gratis: Unibo paga l’assicurazione e al dipendente tornano indietro una piccola deducibilità dal reddito e il rimborso delle spese sanitarie.
Ma non è oro, anche se luccica.
Prima di tutto questa operazione contribuisce a smantellare l’unico “assicuratore” sanitario che ci garantisce tutti come CITTADINI, il Servizio Sanitario Nazionale. Anche se la polizza sanitaria portasse qualche piccolo vantaggio immediato a noi come dipendenti, nel suo sommarsi alle tante operazioni simili portate avanti da industriali e governo (coi sindacati confederali) , i danni collettivi e personali che ne seguiranno (a noi come cittadini, ai nostri cari, al nostro futuro) saranno infinitamente maggiori.
Le insufficienze del SSN non saranno mai risolte se forniranno alla classe politica un pretesto per continuare a privatizzare senza sosta, creando consenso concedendo qualche contentino.
Unibo presenta: Il Welfare al Contrario!
Ma a livello di Ateneo, bisogna soprattutto chiedersi come si finanzia questa operazione da circa un milione di euro? Non con nuove risorse dell’Ateneo, ma con molta probabilità, attingendo a due istituti già esistenti: il compenso aggiuntivo (cioè gli 800.000 euro di prelievo per i Master) e il sussidio a cui il lavoratore ha accesso su domanda per particolari condizioni soggettive di bisogno. Cioè a un istituto che faceva reddito anche per il calcolo della pensione (il compenso aggiuntivo) e un sussidio dedicato ai lavoratori con i redditi famigliari più bassi (mentre la copertura assicurativa sarà valida anche per i dirigenti!).
Ma questo è solo l’inizio, Unibo dovrà infatti prevedere la sostenibilità finanziaria di questa operazione nel corso degli anni. E, come è già successo nel pubblico e nel privato, per finanziare la polizza assicurativa potrebbe essere necessario mettere mano ad altri nostri istituti contrattuali. Soldi del nostro modesto stipendio che affluiscono nelle voraci tasche delle società che fanno profitto sottomettendo il diritto della salute alle leggi di mercato.
L’Amministrazione ha giustificato il ricorso a tale strumento con quello che ritiene essere un fallimento nell’erogazione dei sussidi. Ma il “fallimento” deriva dal Regolamento che loro stessi hanno voluto, e che potrebbe essere facilmente e immediatamente modificato e migliorato.
CUB SUR si oppone allo svilimento del servizio sanitario pubblico, il solo che ha garantito e può garantire il diritto alla salute a tutti i cittadini! Non avranno la nostra firma e non avranno il nostro consenso. Se Unibo vuole fare una convenzione esclusivamente ad adesione volontaria (e senza spese su fondi comuni) con un’assicurazione la faccia.
Ma se davvero Unibo tiene alla nostra salute… riformi il sussidio e, già che ci siamo, ci restituisca le visite mediche in orario di lavoro, come la sentenza TAR Lazio 5714/2015 impone!
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